A luci spente. A mente fredda.
Con il brivido della cerimonia di premiazione che ancora corre lungo la schiena e l’immagine della Coppa alzata al cielo dai nostri “Campioni” che non va via dai nostri occhi.
Fotogrammi di una serata speciale, che è già storia.
Ce ne restano dentro tanti, alcuni bellissimi Altri significativi e simbolici.
Ne evidenziamo tre.
Sono trascorsi 18 anni, ma lo spirito di Catello è sempre lì. In campo e sugli spalti. E non si tratta di retorica. Non quando si riannodano i fili di quel passato. Già piuttosto lontano, eppure così tanto vicino.
Il primo è l’omaggio della Curva Sud a Catello Mari, che ha voluto celebrare l’amore profondo per il suo “Leone”, con una scenografia da brividi e un messaggio emozionante (“Sulla pelle nel cuore sui muri della città, il tuo nome nell’anima per l’eternità”)
A Peppe Mari, presente (anche) sabato al ‘Simonetta Lamberti’, è arrivata l’ennesima conferma del legame viscerale che quel figlio, perso in una notte infernale, ha saputo creare con un’intera comunità, che idealmente, sabato sera, si è tutta riunita dietro quei cartelli issati al cielo dal popolo della Curva.
Catello è con noi, ieri, oggi e domani.
La seconda immagine, che si staglia tra le altre, è il sorriso di Ciro Foggia. Il capitano. Atleta di valore. Uomo di parola, soprattutto.
Ha deciso di rimanere a Cava, l’estate scorsa, per cancellare un incubo. Suo personale e della città.
Avrebbe potuto cercare il riscatto lontano dal luogo della disfatta. Liberarsi dal tanfo della sconfitta, arrivata in modo troppo bruciante per non lasciare segni profondi.
Invece, ha deciso che la storia andasse riscritta. Daccapo. Capitolo per capitolo. Pagina per pagina. Cambiandone pure le virgole.
Ha iniziato dall’ABC, trasmettendo a ogni nuovo compagno, da capitano vero, il senso di appartenenza: alla città; ai colori sociali; all’Aquilotto, simbolo di forza e di rinascita.
Ragionamento non proprio usuale per chi di mestiere fa l’attaccante.
Fin dal ritiro estivo ha anteposto agli obiettivi personali, quelli del gruppo.
Un gol in meno, una corsa in più. Se l’è ripetuto come un mantra.
Alla fine le reti non sono mancate (9), e c’è ancora del tempo per mettere altre ciliegine sulla torta, ma il contributo più robusto, l’Airone l’ha dato nello spogliatoio, mettendosi al servizio dei compagni. Accettando con umiltà le scelte dei tecnici. Accomodandosi in panchina, senza far mancare il supporto ai compagni. Prendendosi a volte pure i fischi, per qualche prestazione sottotono, senza mai, però, mostrare disappunto.
È stato un capitano perfetto. Senza macchia e senza paura.
Il pubblico gliel’ha riconosciuto con quell’applauso lungo e fragoroso al momento della premiazione.
Infine, abbiamo ancora nelle orecchie quel 'Presidente, portaci all’Arechi', con cui tutto lo stadio ha accolto in campo Alessandro Lamberti a fine partita. Quel coro lo ha fatto sorridere, ma anche inorgoglire. In poco meno di due anni, l’avvocato cavese di origine, napoletano di nascita e milanese di adozione, ha conquistato la stima di tutti: con la serietà del suo operato, il garbo e la gentilezza del suo pensiero, anche quello più critico.
Ovviamente, con i risultati, che nel calcio contano più di ogni altra cosa
Dopo l’1-3 dello spareggio di Vibo Valentia del 14 maggio 2003, avrebbe potuto imprecare, sparare a zero contro i protagonisti (mancati), e magari manifestare anche qualche perplessità sul progetto. Invece, con la grande sportività che lo contraddistingue, fece prima i complimenti al Brindisi per la promozione ottenuta, poi, dopo qualche giorno di silenzio “per smaltire l’amarezza” rilanciò prontamente la sfida, invitando la tifoseria a non mollare e a “trasformare la delusione in energia positiva” per ritentare subito la scalata a quella Serie C sfuggita d’un soffio.
Potevano sembrare parole di circostanza, così non è stato.
Ha vinto rivoluzionando tutto, Alessandro Lamberti e senza sbagliare una sola mossa.
Un segnale decisamente benaugurante per il futuro.
Mettiamoci comodi e godiamoci il viaggio.
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