In esclusiva ai nostri microfoni, in vista del derby di domenica del "San Francesco", uno dei protagonisti dell'ultimo ventennio targato Cavese, Antonio Schetter.
L'ex attaccante degli aquilotti ha militato per diverse stagioni con la casacca blufoncé collezionando 216 presenze e 31 reti. Una piccola parentesi anche con i rivali della Nocerina durante l'annata 2012-13 toccando solo 12 gettoni.
Cosa significa indossare la casacca blufoncé per così tante stagioni?
Sicuramente mi ha dato tanto senso di appartenenza, ho giocato più di 200 partite, è stato un vero orgoglio a livello personale. Nel corso delle stagioni ho ricevuto diverse richieste di trasferimento, ma ho sempre deciso di restare a Cava proprio per l'attaccamento alla maglia.
Quanto la spinta del Lamberti ha influito in quel periodo durante le magiche annate in cui hai militato?
Nel periodo in cui ho giocato, il "Lamberti" era sempre pieno, un campo che trascinava le nostre prestazioni: il tifo cavese è conosciuto in tutta Italia, per tutti i novanta minuti i sostenitori sono sempre lì a cantare e ad incitare i propri ragazzi.
Il ricordo più bello dal tuo approdo a Cava de' Tirreni.
Tanti ricordi emozionanti tra cui ovviamente la vittoria del Campionato bensì anche la salvezza, il miracolo con Stringara, una stagione in cui eravamo abbandonati da tutti, c'erano solo gli ultras che ci aiutavano ad andare avanti, al tempo stesso sono legato a tantissime persone.
Raccontaci la settimana del derby considerando i tanti trascorsi, cosa si prova in quei giorni così caldi per la città?
Senz'ombra di dubbio è una partita diversa dalle altre, si fanno tanti pensieri prima del derby perché è una gara speciale e talvolta ci si può giocare un'intera stagione. Determinate gare potrebbero condurti all'eventuale blocco mentale in caso di debacle, al contrario vi potrebbe essere una spinta in più portando a casa il risultato.
Campionato 2005-06: il segreto di quella vittoria, tutto dipese dall'unione e dalla forza dello spogliatoio?
In quell'anno, al di là che eravamo una squadra fortissima, i grandi guidavano i meno esperti a stare sempre sul pezzo. Mister Campilongo era agli albori della sua carriera, ci ha dato tanto sia a livello di gioco sia a livello mentale e soprattutto il "Simonetta Lamberti" era davvero il dodicesimo uomo in campo. Si creò l'unione perfetta tra staff, calciatori e pubblico: noi calciatori e i tifosi viaggiavamo nella medesima direzione, avevamo la stessa mentalità.
Vi sono nessi in comune tra quella Cavese guidata da Sasà Campilongo e l'attuale gruppo a disposizione di mister Di Napoli?
Innanzitutto seguo sempre le sorti della Cavese da quando ho smesso di calcare il rettangolo verde, sono molto legato a questa città. Difficile trovare similitudini perché comunque gli interpreti sono diversi, ma a livello ambientale c'è lo stesso calore, l'aria che si respira è la stessa, è quella che si avvicina maggiormente a quegli anni. Il contesto squadra è un po' differente a livello tattico in particolare per il modulo in campo. Vedendo anche la scorsa gara tra le mura amiche, ho notato lo stesso entusiasmo di quando calciavo verso la rete al "Lamberti".
I ricordi di quel 14 dicembre 2004, giornata in cui sbancaste Nocera grazie alle reti dell'immenso Catello Mari e Tony D'Amico.
Ho i brividi... abbiamo vissuto quella partita da veri ultras in campo con un carica impressionante, soprattutto con gli spalti gremiti a porte aperte anche per i nostri tifosi dopo tempo. Abbiamo avvertito tutta l'adrenalina e l'atmosfera, mettendo in campo tutte le nostre potenzialità.
Un saluto ai tanti supporters di fede biancoblu che ci seguono.
Un saluto a tutti i tifosi della Cavese e alla città di Cava de' Tirreni che porto sempre nel mio cuore.
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