In occasione della Trentaduesima edizione del “Torneo di Calcio Giovanile”, abbiamo intervistato il mister degli Allievi del Lugano, Teodoro Palatella. La sua squadra, inserita nel girone della Cavese, ha ottenuto l’accesso alle semifinali proprio a discapito degli aquilotti, non riuscendo però a raggiungere la finale.
Mister, qual è l’obiettivo che si pone per questo torneo?
“L’obiettivo principale è senza ombra di dubbio quello di dare la possibilità ai ragazzi, attraverso questi test, di crescere e alzare il proprio livello. Il risultato è importante ma solo se conseguito attraverso l’applicazione della nostra filosofia di gioco. Sono stato molto contento delle prestazioni dei ragazzi in queste partite: non dobbiamo dimenticare che ci troviamo comunque in un ambito formativo. Certo, vincere può essere importante, ma mi dà maggior soddisfazione vedere la loro crescita. Pensa, abbiamo giocato con otto 2007 e altri ragazzi che sono sotto l’età della nostra categoria. “
Avete iniziato con due pareggi, contro Napoli e Cavese (a cui poi è sopraggiunta la vittoria con la Juve Stabia): la squadra come arriva alla fase finale del torneo?
“Arriviamo sicuramente con grande consapevolezza, sapendo che il gioco è la nostra arma migliore per ottenere risultati. Scenderanno in campo sempre giocatori diversi, proprio perché il processo di crescita che questi devono affrontare passa da esperienze così. Come già detto in precedenza, non è un’ossessione la vittoria. Credo che molto rilevante sia stata la partita con il Napoli, che è una realtà molto importante a livello nazionale (mancava, inoltre, da molti anni al nostro Torneo): basti pensare a quanti talenti riesce a sfornare il loro settore giovanile, da cui pesca anche la prima squadra. Anche la Cavese è stata un’avversaria ostica e un bel banco di prova per i miei ragazzi.”
Può definirsi questo torneo una piccola Champions League per questi ragazzi?
“Innanzitutto, devo fare i complimenti all’organizzazione, che è stata davvero perfetta. Siamo stati accolti benissimo e già dalla cerimonia d’apertura sono traspariti tutti i messaggi positivi che questo evento intendeva mandare. Proprio per questo ti dico di sì, perché per i miei ragazzi vivere questo tipo di esperienze, conoscere squadre, stili e giocatori diversi, vivere ambienti sani e sportivi può permettere loro di maturare sotto ogni punto di vista, soprattutto per chi intenderà continuare con la carriera da calciatore. Ripeto, noi siamo dei formatori: se al termine di questo percorso nelle giovanili un ragazzo riesce a firmare il suo primo contratto da professionista, allora saremo soddisfatti, perché avremo fatto un buon lavoro con lui.”
Lei preme molto su questo concetto di formazione e crescita dei giovani. Pensa che in Svizzera si sia più avanti, sotto questo punto di vista, rispetto all’Italia?
“Io ho seguito diversi corsi a Coverciano, quindi conosco l’ambiente italiano nonostante lavori da oltre 7 anni a Lugano. L’Italia è ferma, non c’è volontà di costruire. In Svizzera invece siamo avanti con le strutture, che sono la base per questo tipo di attività. Inoltre, credo che ci sia un approccio completamente diverso al rapporto con il calcio: qui c’è l’ossessione per il risultato, perché l’ambiente stesso, essendo super passionale, pretende anche i risultati. Di conseguenza, piuttosto che creare un programma serio, con una crescita costante negli anni per calciatori e società, si punta invece ad ottenere tutto e subito, spesso fallendo sotto ogni punto di vista. In Svizzera invece la cultura è differente, si può lavorare con più calma, mettendo a proprio agio i calciatori e dando loro fiducia, per far uscir fuori tutto il loro potenziale. Inoltre, anche per noi tecnici è molto più facile lavorare: non abbiamo quell’ansia costante di un esonero, di solito i contratti vengono rispettati sino alla scadenza. I miglioramenti si notano già, infatti: basti pensare alla nazionale maggiore svizzera dove sia arrivata agli ultimi mondiali ed europei (noi italiani lo sappiamo bene, purtroppo…) o lo stesso Basilea, arrivato in semifinale di Conference League. Mi chiedo, però, come è possibile che un paese come l’Italia, soprattutto qui al Sud, fucina di talenti, non riesca ad ottenere dei risultati soddisfacenti? La gente vive di pane e calcio, c’è tanta tanta passione e bisognerebbe approfittare di questo.”
Proprio riguardo ciò… ha seguito per caso la Cavese quest’anno?
“Allora, conosco bene tutto il girone H, essendo nato in Puglia, e immaginavo le difficoltà che si potevano riscontrare. Speravo in una promozione della Cavese, però, perché per blasone e per strutture è una squadra che non merita la categoria in cui risiede. È una realtà che meriterebbe palcoscenici migliori. Mi ha stupito molto vedere, già per strada, bambini con le magliette della Cavese, diversi murales, bandiere: la città trasuda passione per questa squadra. In Svizzera difficilmente si vede un attaccamento così forte, vissuto nel quotidiano. Mi auguro che il prossimo anno si possa finalmente raggiungere questo obiettivo, allestendo una squadra idonea al salto di categoria. Quest’anno credo che nelle ultime partite abbiano staccato sia mentalmente che fisicamente, perché altrimenti non si spiega un calo del genere.”
Cosa servirebbe secondo lei per ambire alla promozione? E chi vedrebbe bene sulla panchina della Cavese?
“Sicuramente qualche acquisto per puntellare la squadra, ma la base credo sia già ottima. Inoltre, ho visto che si è parlato sia di Ragno che di Emilio De Leo per la panchina. Non so quali saranno le scelte societarie, però mi farebbe molto piacere per Emilio, secondo me con lui si potrebbe aprire un ciclo, viste le sue grandissime competenze.
Vorrei inoltre ringraziare il mio collega Antonio Gentile che mi ha fatto da guida qui a Cava de'Tirreni. Professionista serio e preparato, la nostra amicizia nasce dai banchi di Coverciano. Gli auguro il meglio per la sua carriera".
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