La Cavese vent'anni fa conquistò il suo primo Scudetto della sua storia.
Il 21 giugno del 2003 gli aquilotti seguiti da oltre 1000 tifosi sfidarono l'Isernia in quel di Civitavecchia conquistarono lo Scudetto di Serie D. I tempi regolamentari terminarono 0-0, non senza qualche patema per gli aquilotti che grazie al portiere Ambrosi riuscì a non andare sotto nel punteggio.
Gara sbloccata solamente ai calci di rigore dove gli aquilotti allenati ai tempi da Mario Somma non sbagliarono assolutamente nulla; Corradino, Sansò, Di Matteo e Vito non sbagliarono il loro calcio di rigore, mentre per l'Isernia Rivolta e Marzocchi sbagliarono i loro penalty regalando un'immensa gioia alla città di Cava de' Tirreni.
Per quest'occasione vi proponiamo un pezzo riguardante proprio la vittoria dello Scudetto del 2003, scritto dal collega Fabrizio Prisco nel suo libro 100X100:
Era il 21 giugno del 2003. Allo stadio “Fattori” di Civitavecchia, Cavese e Isernia si stavano contendendo il titolo di Campione d’Italia Dilettanti. I tempi regolamentari si erano chiusi sullo 0-0, ma la gara era stata comunque ricca di emozioni e capovolgimenti di fronte. Nel primo tempo Marzocchi, Di Vito, Levacovich e Mangiapane avevano provato ad impensierire gli estremi difensori, ma sia Ambrosi che Rodomonti si erano ben disimpegnati. Nella ripresa Ambrosi era stato a dir poco prodigioso, respingendo una conclusione velenosa di Maggi che si stava infilando sotto la traversa. Di Vito invece si era visto murare da Palmitessa un tiro a botta sicura sulla linea di porta. Nemmeno una punizione invitante di Mangiapane aveva avuto miglior sorte. Si vede che non era destino. Le due squadre si stavano giocando ai rigori la possibilità di cucirsi sul petto nella stagione successiva il prestigioso triangolo tricolore. Sugli spalti non volava una mosca. Mille tifosi giunti da Cava seguivano lo sviluppo della contesa con grande apprensione. Era la degna conclusione di una stagione lunghissima, cominciata malissimo e finita in gloria, quasi in modo inaspettato. Il copione di quel campionato sembrava tratto da una sceneggiatura di un thriller o di una fiction ad alta tensione.
Dopo la parata di Ambrosi su Marzocchi che decretò la vittoria per gli aquilotti, i supporters metelliani esplosero nel proprio settore petardi e mortaretti, e accesero fumogeni a ripetizione. La gente era impazzita. Dopo un solo anno tra i dilettanti la Cavese ritornava in serie C/2 e lo faceva con il tricolore sul petto. Era il degno epilogo di un’annata irripetibile, chiusa con numeri da record in campionato: 80 punti in 34 partite, frutto di 25 vittorie, 5 pareggi e 4 sconfitte; 48 gol fatti e solo 10 subiti, + 5 sul Lamezia secondo in classifica e addirittura + 17 sul Siracusa che si era piazzato al terzo posto. Con l’avvento di Somma i biancoblù avevano fatto il vuoto. Era innegabile. Dopo aver battuto nel girone eliminatorio della poule scudetto Melfi e lo stesso Isernia e superato nella doppia semifinale l’Ivrea, gli aquilotti si erano aggiudicati il titolo, anche senza tre titolari del calibro di Ianni, Dos Santos e D’Aniello. Il Capitano nel derby di ritorno con lo Stabia aveva rimediato un brutto colpo al ginocchio sinistro ed aveva saltato gli ultimi impegni; Dos Santos, in accordo con la società, aveva raggiunto in anticipo il Brasile al termine del campionato, mentre il gioiello D’Aniello, oggetto del desiderio di svariati club di categoria superiore, era stato risparmiato perché in procinto di passare al Benevento. Somma li aveva sostituiti con Curcio, Corradino e Guarro, e i tre non avevano demeritato. Ambrosi, invece, aveva fatto il suo dovere, come al solito. E ora raccoglieva la meritata ovazione. Si presentò con la fascia da capitano al braccio per ricevere i trofei della serata dalle mani delle massime cariche della Federazione, William Punghellini e Giancarlo Abete. E poi li mostrò con orgoglio alla sua gente.
Mario Somma osservava la scena compiaciuto. Quella squadra avrebbe potuto aprire un ciclo e fare bene anche l’anno successivo tra i professionisti. Ma l’allenatore, probabilmente, stava già maturando l’addio in gran segreto. Dopo aver annunciato che avrebbe prolungato di un altro anno il suo contratto col club, ai primi di luglio l’allenatore rassegnò le dimissioni e si accordò con l’Arezzo. Fu un fulmine a ciel sereno, che colse di sorpresa tutto l’ambiente. Senza di lui e con la cessione di qualche pezzo pregiato come D’Aniello e Mangiapane, la macchina perfetta che annichiliva gli avversari come un rullo compressore non fu più la stessa.
“Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi…” intonavano quella sera allo stadio “Fattori”..
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